mercoledì 25 gennaio 2017

Insonnia familiare fatale: la speranza è negli antibiotici

Descritta per la prima volta in provincia di Treviso, l’insonnia familiare fatale porta alla morte nel giro di due anni. Una possibile soluzione potrebbe essere la somministrazione di un antibiotico per ritardare i sintomi.

In questi giorni diverse testate nazionali riportano la storia – tratta dal The Independent e dalla tv australiana Nine News - dei “fratelli che non dormono mai” potenzialmente affetti da insonnia familiare fatale. I due ragazzi australiani in realtà, a dispetto dei titoli sensazionalistici, non hanno ancora sviluppato la malattia che non permette loro di addormentarsi ma non è detto che nel giro di poco tempo sviluppino i primi sintomi. In pochi sanno però che la patologia è stata scoperta in Italia da un medico trevigiano e nonostante non abbia ancora una valida cura la ricerca è tutt’altro che ferma.

L’UOMO CHE NON DORME
L’insonnia fatale familiare è una malattia genetica rara appartenente al gruppo delle malattie prioniche. L’organo colpito, come per tutte quelle del gruppo, è il cervello che si “intasa” con accumuli di proteine. I sintomi sono devastanti: sudorazione continua, tremori, disturbi comportamentali, decadimento cognitivo, inarrestabile dimagrimento e, sintomo principe, l’impossibilità a prendere sonno. A soffrirne sono circa 200 persone al mondo, 5 le famiglie colpite in Italia dal disturbo. Generalmente la patologia compare intorno ai 50 anni e il decorso non lascia scampo: l’aspettativa di vita varia dai 6 mesi ai 2 anni dalla comparsa dei sintomi.

INDAGINI SUI REGISTRI DI BATTESIMO
Anche se la malattia è stata descritta su una rivista scientifica – il New England Journal of Medicine - a metà degli anni ’80, le prime osservazioni dirette dei sintomi sono state descritte a partire dal 1970. I primi referti che descrivono la misteriosa patologia sono a firma di Ignazio Roiter, medico dell’ Azienda ULSS 9 - Ospedale Ca' Foncello di Treviso. Osservando la morte di diverse persone all’interno della stessa famiglia il medico veneto cominciò lo studio a ritroso dell’albero genealogico familiare. Analizzando i registri di battesimo e morte riuscì a ricostruire sommariamente il tipo di ereditarietà. Oggi, grazie alle analisi genetiche, si è riusciti a stabilire che in tutti i casi di malattia è presente una mutazione genetica a livello del cromosoma 20. Attenzione però ad interpretare il risultato: possedere la mutazione non equivale a sviluppare necessariamente l’insonnia familiare fatale.

LA SPERANZA IN UN ANTIBIOTICO
Cure, al momento, purtroppo non ce ne sono. Buone speranze giungono però dalla ricerca. Diversi studi hanno dimostrato che nelle malattie prioniche (l’insonnia familiare è una di queste, così come il morbo di Creutzfeldt-Jakob) l’utilizzo delle tetracicline – una categoria di antibiotici - potrebbe migliorare i sintomi del disturbo. Recenti analisi effettuate in animali da laboratorio hanno infatti dimostrato che queste molecole agiscono impedendo l’accumulo a livello cerebrale delle proteine prioniche tipiche di queste malattie. Partendo da questa osservazione sono ora in fase di sperimentazione 4 studi clinici (uno anche in Italia in provincia di Treviso) nell’uomo. Obbiettivo di questi trials è valutare la somministrazione di questi antibiotici in tutte quelle persone –come il caso dei fratelli australiani - portatrici dalla mutazione che potrebbero sviluppare la malattia. Non una cura ma una sorta di “profilassi” per ritardare il più possibile i sintomi dovuti all’accumulo della proteina prionica.